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Maxideduzione fiscale per le aziende che assumono. Domani arriva in Consiglio dei ministri un decreto che prevede la possibilità di dedurre una quota del costo del lavoro pari al 120%. Tutte le imprese, indipendentemente dalla forma societaria, possono fruire dell’incentivo, compresi i lavoratori autonomi. Esclusi, invece, gli imprenditori agricoli e le attività commerciali in via occasionale. Il provvedimento è destinato a confluire nel decreto Coesione che domani sarà sul tavolo del Cdm. La misura stabilisce per i destinatari dello sgravio l’obbligo di aver svolto l’attività nei 365 giorni precedenti il primo giorno del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023. Ulteriore condizione è che attraverso l’assunzione di nuovi lavoratori si configuri un effettivo incremento occupazionale. Significa che il numero dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, al termine del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, deve risultare superiore a quello del precedente periodo d’imposta. 

Le dichiarazioni dei redditi presentate lo scorso anno hanno battuto il record di detrazioni: quasi 80 miliardi di euro. A renderlo noto l’ultimo report del Dipartimento delle Finanze. Questo dato sembra destinato ad essere superato nella stagione dichiarativa 2024 che sta per aprirsi ufficialmente con la pubblicazione del modello precompilato. Il balzo delle detrazioni conferma e amplifica una tendenza che dal 2015 è sempre cresciuta, con la sola eccezione del 2016. Insieme alle detrazioni sono aumentate anche le deduzioni arrivate a quasi 28 miliardi nelle dichiarazioni 2023. Il grosso delle detrazioni è costituito da sconti ‘strutturali’, legati al lavoro dipendente, alla pensione o ai familiari a carico. Si è fatto più consistente il peso delle agevolazioni legate a spese specifiche dei contribuenti. Trend dovuto ad almeno 4 fattori: la disponibilità dei dati; la diffusione del 730; la bonus economy; il caro vita. 

Domani scade il termine di pubblicazione dei modelli online, mentre per l’invio le scadenze sono: il 30 settembre per il mod. 730 e il 15 ottobre per il mod. Redditi PF. Da definire le date a partire dalle quali i contribuenti potranno modificare o accettare i modelli ed eventualmente sostituire quelli già inviati senza ricorrere alla presentazione di una vera e propria dichiarazione integrativa. Lo scorso anno 4,5 milioni di persone hanno trasmesso il 730 usando la modalità fai-da-te, che quest’anno vede la novità della compilazione semplificata. Ma la precompilata serve anche ai Caf e agli intermediari abilitati. La compilazione semplificata consentirà a chi sceglie il fai-da-te di beneficiare dei vantaggi sui controlli del fisco già previsti per chi fa la compilazione ‘classica’ del modello. Se i dati precaricati vengono accettati senza modifiche, non saranno effettuati controlli documentali sugli oneri comunicati al fisco da soggetti terzi. Idem se le modifiche non incidono sulla determinazione del reddito. 

La bozza del nuovo decreto delegato su Irpef e Ires contiene l’aumento dal 5 al 10% della tassa di produttività con la quale, però, le aziende potranno beneficiare di maggiore flessibilità nell’erogazione degli incentivi. Questa scelta, se confermata, farà salire da 75 a 150 euro il carico fiscale sul premio di produttività medio. Oltre agli incrementi di produttività,  redditività, qualità, efficienza ed innovazione la bozza prevede che l’erogazione dei premi possa essere legata anche al miglioramento di indicatori relativi a reputazione e responsabilità sociale e sostenibilità ambientale.Inoltre, viene previsto che il miglioramento possa essere misurato anche tenendo conto del contesto economico e sociale di riferimento e – soprattutto – che gli indicatori ai quali ancorare il premio di risultato siano misurabili e verificabili soltanto sulla base di criteri definiti dalla contrattazione collettiva. In mancanza di contratti collettivi aziendali o settoriali viene consentito alle imprese di applicare il contratto collettivo territoriale ritenuto più adatto alla propria realtà.

Da domani entrano in vigore le nuove regole per contraddittorio preventivo e accertamento con adesione. A prevederlo il Dlgs n. 13/2024 e dall’art. 7 del Dl n. 39/2024. Ci riferiamo agli atti impositivi che da domani verranno firmati e protocollati dall’ufficio. Le nuove regole in tema di contraddittorio preventivo valgono anche per gli schemi d’atto. Discorso diverso per i Pvc; se il processo verbale viene consegnato direttamente al contribuente, la data di emissione può essere considerata quella della stessa consegna al contribuente; mentre nei rari casi in cui viene spedito, l’emissione può essere fatta coincidere con la sua protocollazione, anche se quest’ultima viene effettuata manualmente. I rischi del contraddittorio sono dovuti al riferimento della norma a uno schema di atto per il quale il contribuente si troverà di fronte ad un fac-simile del provvedimento accertativo, quindi, a una pretesa già sostanzialmente formata. Il rischio è che gli uffici risulteranno restii a rivederla, una volta manifestata all’esterno in forma quasi compiuta.

Dallo schema di decreto legislativo di riforma delle sanzioni, attuativo della legge delega fiscale, emerge che diventano meno onerose le sanzioni conseguenti ai ritardi e agli omessi versamenti delle imposte. In base alla bozza del nuovo decreto, in futuro le sanzioni ordinarie saranno: 25% di quanto non versato o versato in ritardo oltre i 90 giorni dall’ordinaria scadenza; 12,5% per i ritardi superiori a 90 giorni; 0,83% per ogni giorno di ritardo fino al quindicesimo giorno. Lo schema di decreto prevede l’applicazione delle nuove sanzioni ridotte agli illeciti commessi dal 30 aprile e non modifica le attuali percentuali di abbattimento delle sanzioni in caso di ravvedimento operoso. Percentuali che resteranno le medesime, ma riferire a sanzioni ridotte. Le novità posticipano di oltre un anno le scadenze per le sanzioni penali fissandole per i delitti di omesso versamento delle ritenute certificate e dell’Iva al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione delle relative dichiarazioni annuali. 

Tra le novità del Dlgs n. 209/2023 dedicato alla fiscalità internazionale, un ruolo importante ricoprono gli incentivi in favore delle imprese che trasferiscono in Italia attività economiche esercitate in territori extracomunitari ed extra-See. L’agevolazione consiste in una riduzione del 50% della base imponibile Ires (Irpef) e Irap riferita all’attività impatriata, per sei periodi di imposta. La misura, però, non è ancora operativa perché si attende il via libera Ue. Restano ancora importanti incertezze applicative. Il beneficio interessa sia il vero e proprio ‘reshoring’ sia le attività trasferite ex novo in Italia, anche da parte di soggetti esteri e anche nel caso l’attività confluisca ‘soltanto’ in una stabile organizzazione italiana. La norma richiede di trasferire in Italia attività di impresa o esercizio di arti e professioni in forma associata, ma non definisce il perimetro dei beneficiari, tra i quali dovrebbe rientrare anche chi non esercita attività d’impresa in via prevalente. Da chiarire il perimetro degli asset trasferibili in Italia. 

La Cgt Toscana, nella sentenza n. 178/5/2024, ha stabilito che l’intento elusivo non costituisce presupposto necessario per contestare l’esterovestizione. Quest’ultima, invece, va ricondotta alla disciplina giuridica della residenza fiscale ex art. 73, comma 3, del Tuir. Secondo i giudici toscani non è necessario accertare la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma, invece, verificare se il trasferimento è avvenuto o meno. La sentenza è di interesse perché ribadisce l’irrilevanza dell’elemento elusivo ai fini di una contestazione di esterovestizione e perché va letta tenendo conto dei nuovi criteri della residenza fiscale delle società e di come questi si integrino con il fenomeno dell’esterovestizione. Infatti, dal 2024 i criteri di determinazione della residenza fiscale delle società sono cambiati. Oltre al criterio della sede legale ci sono i nuovi criteri della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria in via principale.

Con il decreto n. 4233 dello scorso 6 marzo il Tribunale di Udine ha stabilito che non si devono applicare ai trasferimenti immobiliari che si verificano in conseguenza di una operazione di scissione di società le norme che la legge detta a pena di invalidità degli atti che hanno ad oggetto l’alienazione dei beni immobili. La pronuncia resterà nei manuali di diritto commerciale per il fatto di essere la prima decisione a intervenire in questa tematica, se si eccettua il precedente rappresentato da un decreto del Tribunale di Roma del 1994. Secondo i giudici del Tribunale friulano il trasferimento di diritti ovvero il passaggio di titolarità dei beni è una conseguenza dell’operazione decisa dalle società che vi hanno partecipato. 

La Cassazione, con la sentenza n. 3386 dello scorso 6 febbraio, ha evidenziato le implicazioni della esterovestizione attraverso maglie larghissime, permettendo all’ufficio di intervenire non solo sulle imposte dirette, ma anche su quelle indirette come l’Iva e l’imposta di registro. Questo riguarda operazioni apparentemente estere che possono essere trattate come nazionali, portando a ipotesi di reati tributari. La questione analizzata trae origine da un avviso di liquidazione per una società fiscalmente inglese ma con interessi principali in Italia, che ha ricevuto un immobile in Italia da un socio italiano, evitando l’imposta proporzionale di registro grazie alla presunta residenza estera. I giudici di piazza Cavour hanno chiarito che la presunzione di esterovestizione si applica anche alle imposte indirette come l’Iva, basandosi su normative europee e costituzionali. Questo principio può avere ampie implicazioni, incluso il recupero dell’Iva non versata e il rischio di punizione penale per il superamento della soglia di reddito non dichiarato.

Gli effetti del decreto legislativo di riforma del sistema sanzionatorio tributario evidenziano che il rispetto del piano di rateazione con il fisco mette in salvo dal reato di omesso versamento. Dunque, per il reato di omesso versamento di ritenute certificate e Iva la sanzione penale scatterà solo quando dovesse emergere la manifestazione inequivoca del contribuente circa la sua volontà di sottrarsi al pagamento dell’obbligazione tributaria, essendo decorsi i termini per la rateizzazione delle somme dovute senza che la stessa sia stata richiesta, ovvero essendosi verificata la decadenza dalla rateizzazione già concessa. Importante il cambiamento rispetto a quanto previsto dal Dlgs 74/2000 che prevede tempistiche più o meno stringenti, a seconda del reato, per consentire il pagamento integrale del debito tributario, termini che tuttavia non possono superare i sei mesi dalla dichiarazione di apertura del dibattimento. 

Con la riforma fiscale potrebbe estendersi la facoltà di optare per l’applicazione dell’imposta che attualmente è accordata solo alle imprese che hanno costruito o ripristinato il fabbricato. Dunque, per le vendite di fabbricati abitativi in regime d’impresa si profila il possibile allargamento della via di fuga dall’esenzione Iva. I Paesi membri sono tenuti ad assoggettare all’Iva solo le cessioni di fabbricati effettuate anteriormente alla prima occupazione; le cessioni successive, invece, sono in via di principio esenti, ma gli Stati membri hanno la possibilità di accordare al cedente la facoltà di optare per l’imponibilità. Il Dpr n. 633/1972 prevede regole differenziate in ragione di elementi oggettivi e soggettivi. Sono esenti le cessioni di fabbricati a destinazione abitativa ad eccezione di: cessioni poste in essere prima dei 5 anni dal termine dei lavori; cessioni poste in essere dopo i 5 anni, qualora il cedente abbia espresso l’opzione per l’applicazione dell’imposta; cessioni di fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali.

La quinta sezione della Cassazione civile, sezione tributaria, nell’ordinanza n. 10415 depositata il 17 aprile 2024, ha stabilito che la presentazione di una dichiarazione integrativa con cui si vuole modificare la dichiarazione dei redditi con dati sostitutivi pro contribuente deve essere presentata entro il termine della dichiarazione dell’anno successivo, portando in compensazione l’eventuale credito spettante. Lo stesso contribuente può chiedere il rimborso delle somme entro il termine di quattro anni dall’indebito versamento. Il caso sul quale si sono espressi gli ‘ermellini’ riguarda il ricorso di un contribuente relativo ad una cartella di pagamento emessa ex art. 36-bis Dpr n. 600/1973. La Suprema corte ha annullato il giudizio espresso dai giudici di merito evidenziando che a favore dei contribuenti ci sono due opzioni concorrenti, non alternative. 

La Suprema corte, con la sentenza n. 3566 del 7 febbraio 2024, ha chiarito alcuni profili in materia di compensazione dei costi delle liti. Al contribuente non basta nemmeno l’annullamento dell’atto in autotutela per vedere l’Ufficio condannato alle spese. Se l’Amministrazione finanziaria si ritira dalla causa, ammettendo l’illegittimità dell’azione intrapresa,  non sempre è tenuta a pagare le spese legali come invece avviene a parti invertite. Nel caso analizzato dai giudici di legittimità, una società avente sede legale in Svizzera aveva effettuato delle operazioni con una sua consociata italiana, successivamente incorporata. Tra loro erano avvenuti scambi di beni che l’Ufficio aveva riqualificato come cessione di ramo di azienda. Nei casi complessi, ricordano i giudici del Palazzaccio, trova applicazione la compensazione delle spese.